Nella
concezione tradizionale il diritto è sempre stato inteso come
frutto esclusivo dell’intelligenza e dell’attività
umana, diretto a regolare la convivenza tra gli individui della sola
società dell’uomo. Tuttavia, bisogna ammettere che non
sempre tutti gli uomini sono stati considerati titolari di una piena
capacità giuridica; anzi, nella storia ha quasi sempre prevalso
un’idea di differenziazione tra gli uomini: liberi e schiavi,
aristocratici e plebei, cittadini e stranieri, borghesi e contadini,
ecc. Del resto è recente il principio che tutti gli uomini, senza
distinzione di sesso, religione, razza o censo, siano “persone”
e, in modo uguale tra loro, titolari di diritti e doveri, ed anzi necessariamente
titolari, per il fatto solo di nascere, dei diritti “innati”,
dei diritti “inviolabili dell’uomo” . Tutto ciò mostra chiaramente come il concetto di soggetto giuridico sia sottoposto a continue variazioni nel tempo e a condizionamenti culturali che ne ampliano di volta in volta i confini e modificandone i presupposti e il contenuto. Se infatti ci poniamo con uno sguardo retrospettivo vedremo come il concetto di “persona” e quello di agente morale siano molte volte mutati nel corso della storia. Ciò comporta una necessaria e continua e revisione e riconcettualizzazione giuridica di tali nozioni, dato che non è possibile fermarsi ad una visione cristallizzata. Il collegamento operato, soprattutto negli ultimi anni, all’interno del dibattito filosofico tra questione animale e questione etica ha contribuito a sollevare problematiche ormai ineludibili circa la natura e la valutazione dello statuto morale degli animali. Il campo d’indagine è diviso tra chi non ritiene che essi rientrino a pieno titolo all’interno della sfera morale e chi invece sostiene che ne siano invece esclusi in quanto non possono essere considerati soggetti di diritto, perché il diritto è qualcosa di esclusivamente umano a cui gli animali non sono in grado di partecipare. A tal proposito si dischiudono delle questioni teoretiche molto rilevanti. Innanzitutto, come dice Luisella Battaglia in Etica e diritti degli animali “occorre in primo luogo definire, con la maggior precisione possibile, che cosa possa conferire status morale ai non umani”. Dal confronto tra le diverse teorie sul rapporto uomo animale si posso ricavare indicazioni significative. Pur nella molteplicità dei presupposti teoretici delle molteplici correnti della filosofia animalista, sembra che si possa trovare un punto di convergenza comune sul fatto che gli animali, nella misura in cui sono capaci di provare piacere e sofferenza, interessi e preferenze, sono meritevoli di considerazione morale da parte dell’uomo. L’ obiezione che normalmente viene posta al fatto che gli animali possano o meno rientrare nella sfera della morale, è quella di sottolineare che gli animali non sono agenti di morale, ovvero non possono essere considerati come portatori di doveri verso di noi, in quanto, probabilmente, privi di autocoscienza e tutte quelle altre caratteristiche che fanno di un essere una persona consapevole e quindi responsabile delle proprie azioni. Tuttavia si può ribattere che tale condizione di agente morale non è per forza necessaria, in quanto, per entrare nella sfera morale, è sufficiente che gli animali siano inclusi nella classe di pazienti morali. Ovvero quegli esseri verso cui, in un’ottica morale di non reciprocità, abbiamo dei doveri, ma non possiamo reclamare a nostra volta dei diritti. La classe dei pazienti morali è molto vasta, si pensi solo ai neonati, alle persone gravemente malate e a tutti quelli che Singer definisce come “casi marginali” . Non tutti gli esseri umani, infatti, hanno il pieno possesso del raziocinio e dell’abilità linguistica. Eppure, noi consideriamo aberrante il negare che si possano applicare anche ad essi le categorie morali: non saranno soggetti morali attivi, nel senso che non si può pretendere da loro un comportamento moralmente consapevole, ma sicuramente sono dei soggetti morali passivi, vale a dire dei destinatari di nostri precisi doveri morali, primo fra tutti quello di rispettarli e di non farli soffrire. Il che significa, come sottolinea Singer, che quando ci riferiamo agli umani marginali per includerli nella sfera dell’etica non prendiamo in considerazione la loro razionalità o abilità linguistica, bensì la loro capacità di soffrire, la loro qualità di esseri sensibili. E a questo punto non si vede perché lo stesso ragionamento non possa venire applicato ai non umani. Ne segue che verso gli animali noi abbiamo non soltanto dei doveri indiretti, come diceva Kant, ma dei veri e proprio doveri diretti, che vedono gli animali stessi quali destinatari in prima persona. Riconoscere agli animali dei diritti comporta però dei profondi cambiamenti nell’ambito del nostro agire e in molti settori della nostra vita. In particolar modo ci si scontra con diverse pratiche che sono molto diffuse e comunemente accettate nella nostra società, quali ad esempio il mangiar carne, gli allevamenti intensivi e la sperimentazione animale. |
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