Il discorso sui diritti dell’ambiente può essere sviluppato alla luce di differenti punti di vista. Per prima cosa possiamo dire che l’uomo ha dei doveri (e quindi l’ambiente ha dei diritti) nei confronti dell’ambiente per il semplice fatto che ha dei doveri nei confronti di se stesso e degli altri uomini. Infatti con ambiente si intende il complesso delle condizioni vitali e nello stesso tempo, così come ci dice Engelhardt, lo “spazio vitale plasmato dall’uomo”.
Si tratta di un’interdipendenza altamente dinamica tra l’uomo, gli altri esseri viventi e lo spazio che li circonda. Gli ambienti dei singoli esseri viventi sono incorporati in una "comunità di vite biocenotiche” più ampie che possono essere indicate con il termine “ecosistema” . E dato che anche l’uomo è immerso in questo ecosistema e fa a pieno titolo parte della comunità biotica è evidente che, come il resto delle creature viventi, è sottoposto ai cambiamenti che possono avvenire nell’ambiente e ne subisce come gli altri sia gli effetti positivi che quelli negativi. Per cui quando lui stesso agisce sull’ambiente, alterandolo, deve tener conto delle responsabilità delle proprie azioni, in quanto coinvolgono anche altri esseri umani, verso cui l’uomo ha, anche nell’etica tradizionale, delle responsabilità. Quest’ottica rientra a pieno titolo in una visione antropocentrica, in cui l’uomo non deve causare danni all’ambiente in quanto ciò porterebbe degli svantaggi a sé ed ai propri simili.
D’altronde l’ambiente, o forse sarebbe meglio dire la natura, in una divisione dualistica della realtà, è stata per secoli la controparte dell’uomo, l’altro da sé per eccellenza. Tuttavia questa contrapposizione, se isolata da una visione in cui il mondo sensibile è contrapposto al mondo delle idee in quanto inferiore, e in cui l’uomo deve dominare sulla natura, perchè portatrice di disordine, può portare ad un’altra riflessione molto interessante.
In un’etica del rispetto dell’alterità, che dovrebbe del resto caratterizzare anche l’etica ambientale, è necessario che ciò che è riconosciuto come altro da noi sia anche visto come portatore di un qualche valore intrinseco. In effetti l’uomo conosce l’ambiente come oggetto della propria comprensione ed azione e lo riconosce come un qualcosa di “consistente”. Proprio tale consistenza potrebbe portarlo a sospettare un valore in sé dell’ambiente, indipendente dal giudizio attribuito dalla comprensione umana. Il che aprirebbe la via ad un valore trascendente della natura e quindi ad un necessario rispetto di ciò che non ci appartiene, nonché a riconoscere che ci possa essere un bene anche all’infuori di sé, cosa che del resto l’uomo fa già quando si rapporta con gli altri uomini in una situazione di confronto delle diversità, in cui la differenza viene vista come apportatrice di bene e non di male. Quindi possiamo dire che si attua un passaggio da un’etica antropocentrica, in cui abbiamo un dovere nei confronti della natura solo per la nostra utilità, verso un’etica biocentrica, dove abbiamo un dovere nei confronti della natura in sé e per sé. Un'etica dove il rispetto che dobbiamo portare all'ambiente, dipende dal fatto che è altro da noi e, nello stesso tempo, è simile a noi in quanto facciamo parte di un unico sistema vitale. La diversità fra uomo e natura (e quindi anche fra uomo e animali) non deve essere negata come irrilevante (così come fanno determinate posizioni estreme di ecocentrismo), né enfatizzata come discriminante (così come avviene nelle prospettive antropocentriche), ma piuttosto, come dice Luisella Battaglia in Alle origini dell’etica ambientale, “valorizzata, all’interno di una dialettica tra somiglianza e diversità che intende istituire la responsabilità umana”. La critica dell’antropocentrismo non deve perciò collocarsi all’interno di una visione riduzionistica, dove l’uomo si appiattisce sugli animali, ma, partendo dall’idea di una “trascendenza rinnovata” che rifiuta il dominio sulla natura e sugli animali, deve arrivare a realizzare un’etica della responsabilità e della cura.
In ogni caso credo sia giusto sottolineare che il discorso etico sia sempre un discorso compiuto dall’uomo, che, in quanto capace di conoscenza, giudizio e scelte proprie, si emancipa dai vincoli del determinismo biologico, presentandosi come unico agente morale. Da qui la centralità del suo ruolo all’interno dell’etica, centralità che non presuppone necessariamente un antropocentrismo, in quanto un discorso di etica ambientale è sì un discorso dell’uomo, ma non per forza un discorso sull’uomo.
   

 

 

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