L’ecologia e le correnti ambientaliste

La scoperta della vulnerabilità della natura e l’irrevocabilità dei danni che le possiamo (e ci possiamo) causare ha portato all’idea e alla nascita dell’ecologia . Tale nome è stato usato per la prima volta nel 1866 dal biologo tedesco Ernst Haeckel in una delle conferenze che andava tenendo per far conoscere e diffondere la teoria dell'evoluzione di Darwin.
Charles Darwin era tornato nel 1836 dal suo viaggio intorno al mondo e negli anni successivi aveva pubblicato i suoi due libri principali: L'origine delle specie e L'origine dell'uomo. Nel viaggio sulla nave "Beagle" aveva osservato che i vegetali e gli animali assumevano diverse forme a seconda delle condizioni di clima, di maggiore o minore vicinanza al mare, di terreno, di presenza di altre specie. Darwin aveva inoltre osservato le interazioni fra vegetali e animali e ambiente circostante: aria, acqua, suolo. D'altra parte già alcuni anni prima Justus von Liebig aveva esposto alcune "leggi" su come i vegetali si "nutrono" assorbendo gas dall'atmosfera e composti inorganici dal suolo.
Haeckel definì l'ecologia come lo studio dei rapporti fra gli esseri viventi e l'ambiente circostante. La parola fu coniata su quella, molto più antica, di "economia", usando lo stesso prefisso, eco (dal greco ecos, oikos; casa, villaggio, comunità). Del resto la relazione con questa scienza non fu casuale, infatti così come l'economia descrive le leggi e le regole che valgono in una casa, in una comunità, in cui gli umani si scambiano cose utili, l'ecologia si occupa della descrizione dell'ambiente, del territorio, in cui vegetali e animali scambiano materiali ed energia fra loro e con il mondo inorganico circostante. Haeckel definì pertanto l'ecologia come lo studio dell'"economia della natura", un termine - "Oeconomia naturae" - che peraltro era già stato usato dal naturalista svedese Carlo Linneo nel 1749.
Per alcuni decenni la ricerca e l'insegnamento nel campo dell'ecologia sono stati dominati dagli studiosi di botanica e zoologia e solo alla fine del 1800 vengono istituite delle cattedre universitarie di ecologia e appaiono i primi trattati e riviste che portano il termine ecologia nel loro titolo.
Fu nei primi anni del 1900 che, con l’inizio dell'alterazione e distruzione delle risorse naturali in varie parti del pianeta, l'ecologia cominciò ad assumere una sempre crescente importanza. La rivoluzione industriale comportava la richiesta di sempre maggiori quantità di materie prime e risorse naturali quali minerali, legname, animali, prodotti agricoli etc.
La corsa verso le sempre nuove frontiere del Nord America aveva portato allo sterminio di milioni di animali allo stato selvaggio, come ad esempio i bisonti. L'ecologia offriva indicazioni scientifiche per le prime azioni di "conservazione" delle risorse naturali, e degli equilibri fra esseri viventi.
Darwin aveva già suggerito che esiste una lotta per la vita e che, nel corso dell'evoluzione, gli individui e le specie più forti tendono ad avere il sopravvento e sopravvivere a quelle meno adatte all'ambiente.
L'attenzione per l'ecologia crebbe ulteriormente dopo la Seconda Guerra Mondiale quando con le bombe e i vari esperimenti atomici si è scoperto che l'immissione di composti radioattivi nell'atmosfera poteva essere molto dannoso fino a causare una distruzione totale dell’ecosistema e che il crescente uso di pesticidi e la crescente immissione di scorie nelle acque e nell'aria provocavano alterazioni dei cicli ecologici molto dannose per la vita umana. Tali squilibri si estendevano a tutto il pianeta, a moltissimi esseri viventi e apparivano destinati a far sentire le loro conseguenze anche lontano nel futuro e l'ecologia si presentava come l’unica scienza in grado di descrivere le alterazioni, di riconoscerne le cause, di suggerire dei rimedi.
Infine, a partire dagli anni sessanta di questo secolo, la parola "ecologia" è stata usata per indicare un movimento di contestazione contro le devastazioni ambientali, dovuti alle attività umane, all'inquinamento, al diboscamento, agli incendi, e a quant’altro metteva in pericolo la sopravvivenza e lo status quo della vita sulla Terra .
In questa accezione politica, l'ecologia ha assunto significati diversi da quelli originali, anche se comunque molto importanti e forse addirittura più significativi. Appare oggi chiaro che la soluzione dei problemi come l’inquinamento, l’erosione del suolo, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali, la difesa della flora e della fauna, etc. richiedano proprio una maggiore e più intensa attività di ricerca, studio, informazione, educazione, anche a livello popolare e sociale, nel campo dell'ecologia.
I principali campi di indagine dell'ecologia comprendono lo studio dei caratteri fisici e chimici dell'ambiente; lo studio dei "cicli", cioè dei flussi di materiali e di energia attraverso gli esseri viventi vegetali e animali; lo studio delle interazioni fra le popolazioni vegetali e animali.
Gli esseri umani, da questo punto di vista, anche se animali "speciali", partecipano come gli altri ai grandi flussi di materia e di energia del pianeta Terra. Anzi proprio in quanto animali speciali con le loro azioni tecniche, modificano l'ambiente circostante e intervengono nei cicli ecologici in forma rapida e intensa con la costruzione di ambienti artificiali, quali campi coltivati, case, fabbriche, città.
Un altro importante campo di studio dell'ecologia comprende, quindi, l'analisi degli effetti che le attività umane e le loro scorie - in genere diverse dalle scorie della vita vegetale e animale - hanno sugli ecosistemi naturali, e degli strumenti, economici e sociali, con i quali è possibile rallentare o fermare le alterazioni ambientali.
In epoca contemporanea come è stato già più volte sottolineato, l’ecologia ha dato impulso a molte discussioni filosofiche. A tal proposito si possono distinguere, seppur con una certa approssimazione tre diverse correnti all’interno del movimento ecologista in campo etico.
La prima corrente, che va comunemente sotto il nome di deep ecology (ecologia profonda), espressione introdotta nel 1973 dal filosofo norvegese Arne Næss, sostiene che le conoscenze che l’ecologia ci ha apportato, imporrebbero un mutamento radicale nei nostri valori e dovrebbero generare in noi un senso di uguaglianza con tutto ciò che fa parte della comunità biotica. In particolare Arne Næss in Ecology, Community and lifestyle sostiene che il cosmo è una rete di relazioni e non un insieme di esseri separati e suggerisce una soluzione: tutti gli esseri viventi sono uguali. Infatti nell’ambito di una prospettiva biocentrica, in cui la vita ha il valore assoluto, lo stesso valore che attribuiamo a noi stessi deve essere attribuito alle altre forme viventi.
Il rischio maggiore di questa posizione estremista è quella che dalle regole esplicative dell’ecologia possano scaturire regole per l’agire morale, ovvero che possano essere presi come valori di condotta morale concetti di una scienza puramente descrittiva, quale è l’ecologia. Eticamente non ha alcun senso ravvisare nel paradigma ecologico la determinazione di ciò che deve essere fatto, in quanto non è detto che una cosa solo perché accade sia giusto che accada. Non necessariamente una determinata regola ecologica è giusta solo perché dettata dalla natura, se no sarebbe giusto, ad esempio, il prevalere del più forte anche nelle comunità umane così come avviene in natura.
Nella seconda corrente che possiamo riassumere sotto il nome di shallow ecology (ecologia di superficie), la natura non possiede un valore intrinseco, né diritti. Le varie componenti del mondo ricevono un significato solo dall’uso che fa di esse l’uomo, anche se è da rigettare, secondo gli esponenti di tale corrente, la cultura del dispotismo in cui l’essere umano non ha alcun limite morale nel suo rapporto con la natura. L’uomo, in questo antropocentrismo moderato, riveduto e corretto diviene amministratore e (quindi anche responsabile) della terra.
La terza e ultima corrente si rifà ad una visione neo-umanista della realtà, dove non c’è bisogno di scegliere fra l’alternativa del dominio e quella della sottomissione. A tal proposito Luisella Battaglia afferma che “se la prima è retta dall’idea dell’intrinseco valore tecnologico e legata un’immagine dell’uomo despota di una natura infinitamente sfruttabile, la seconda si richiama al mito regressivo di una natura intesa come madre nutrice, intenta a provvedere ai bisogni dell’umanità e turbata dagli interventi insensati e violenti dell’uomo”. I neo-umanisti, pur consapevoli che il problema che si pone oggi non sia quello del dominio sulla natura, ma quello sul dominio del nuovo potere umano che minaccia la natura, indicano come soluzione la via del rispetto dell’altro (sia esso umano o non). E rifacendosi all’etica della responsabilità mettono in primo piano lo sforzo che la nostra specie, in quanto responsabile del resto, deve compiere per cercare di prevedere le conseguenze delle proprie azioni allargando il territorio della comunità morale sia in senso spaziale che temporale.
La natura entrata così nella cerchia delle responsabilità umane diviene, come sottolinea Luisella Battaglia, l'aspetto nuovo su cui riflettere nell’ambito dell’etica, mentre deve essere riconsiderato il modo di atteggiarsi rispetto alla tradizione umanistica, che è considerata generalmente estranea al rispetto della natura e che, per questo motivo, viene spesso rifiutata dalla cultura ambientalista. Secondo la studiosa, le tesi della saldatura e della complicità tra umanesimo antropocentrico e assoggettamento del mondo vivente è ormai diventata una sorta di luogo comune che alimenta le concezioni antiumanistiche dell’ecologismo fondamentalista e rischia di negare sia la complessità della tradizione umanistica sia le stesse potenzialità del pensiero ecologico. Questo luogo comune, a parere di Luisella Battaglia, è nato principalmente a causa di un doppio equivoco, che identifica l’umanesimo con un antropocentrismo forte e l’ecologismo con un fondamentalismo biocentrico. Da qui nascono l’idea di un umanesimo ineluttabilmente antiecologico, convinto della necessità di difendere l’uomo e i suoi valori dalla sacralizzazione della natura, e quella di un ecologismo necessariamente antiumanistico, persuaso che per difendere la natura sia necessario mettere sotto accusa tutta la tradizione culturale e filosofica occidentale. Questi due modelli sono dunque opposti, ma essenzialmente accomunati da un paradigma di appiattimento che impedisce di concepire la complessità della relazione che intercorre tra uomo e natura, mentre, in verità, è importante promuovere una visione in cui l’integrità umana e l’integrità naturale si richiamino reciprocamente per determinare in quale modo l’uomo, sulla base di una scelta di valore che sarà sempre e solo umana, debba assumersi le responsabilità verso il resto del mondo. La via indicata da questo umanesimo ecologico è dunque quella di una cultura del rispetto, nutrita della consapevolezza che oggi non si tratta tanto di dominare la natura, quanto di limitare il dominio sulla natura. Le nostre responsabilità nascono dal nostro potere sull’ecosistema, reso sempre più forte da ogni progresso della tecnica e della scienza, per cui sta a noi tenere presenti tutte le conseguenze volute e possibili del nostro agire, preoccupandoci degli effetti a lungo termine delle operazioni umane sul sistema planetario, sulle generazioni future, sulle altre creature.


     
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